Monday 31 December 2012


NYE

Ebbene ci siamo, stasera non è una sera qualunque, stasera è NYE, acronimo che mi depista sempre un po' a causa di quelle N e Y maiuscole che la mia mente non riesce a non associare a New York.

Ed invece no, NYE è l'acronimo di New Year's Eve e, per una volta, per la prima volta, Nemo lo passerà in UK, a Londra per l'esattezza, grazie anche al generoso supporto logistico di un amico expat che invece ha optato per un capodanno in Italia.

Come da immaginario collettivo, è una Londra grigia e piovosa quella che ci sta accompagnando verso la notte di capodanno, notte che tornerà solo tra un anno, come tutte le notti del calendario, a pensarci bene.

Ma la notte di capodanno, rispetto alle altre, ha l'immeritato vantaggio di essere di confine, sa di trasposizione temporale di quelle linee artificiali che sono i confini tra gli Stati, per cui ci piace pensare che da domani si entri in un nuovo regno, che stasera stiamo attraversando qualcosa di speciale, che ci stiamo traghettando senza sforzo, stando semplicemente fermi sul tapis roulant della vita, in una nuova fase.

Capodanno come un risorto Babbo Natale per adulti. Preparate un desiderio da esprimere, si parte per il 2013!

Sunday 23 December 2012


Christmas pudding

Tempo di Natale, tempo di tradizioni, tempo, in Inghilterra, di tacchini farciti e di Christmas puddings.

E, visto che le parole tacchino e farcito, possono dare sufficienti indicazioni su cosa ci si possa aspettare anche a chi un Natale all'inglese non lo abbia mai festeggiato, parliamo invece di puddings (pronuncia pudding - non padding per inciso)

Intanto perché di varietà di puddings ce ne sono davvero tante, da quelli salati, come lo Yorkshire pudding, a quelli dolci, come il Christmas pudding per l'appunto, ma anche perché per un esponente dell'upper class o dell'upper-middle, la parola pudding indica addirittura un qualsiasi dolce rendendo la cosa ancora più confusa (dessert, ho scoperto, è invece considerato decisamente middle class).

Oddio, ad ormai poche ore dal Natale, questo post arriva decisamente in ritardo, nel caso avessi voluto suggerirvi l'idea di preparare un pudding. Tradizionalmente infatti, il pudding di Natale, una specie di budino denso a base di ingredienti leggeri quali frutta secca, spezie dolci, zucchero, burro, immerso ovviamente in qualcosa di alcolico come sherry, brandy o whisky e servito con custard cream o gelato, dovrebbe essere preparato la domenica dell'Avvento.

Oggigiorno in realtà, a giudicare dalla quantità di Christmas puddings nei supermercati, da quelli economici di Tesco a quelli "branded" degli chef arruolati da Waitrose, gli Inglesi preferiscono dedicare il tempo libero ad altro ed accontentarsi di un (ennesimo) prodotto confezionato.

Però per chi volesse profumare il Natale con un po' di englishness, e non avesse una gastronomia inglese sotto casa, suggerisco di provare un insolito pudding, quello di Agatha Christie: The Adventure of the Christmas Pudding"

Un'elegante casa nella campagna inglese, il pranzo di Natale, l'inevitabile ereditiera innamorata di uno scapestrato, un gioiello scomparso e l'occhio attento di Poirot (anche lui, come noi, straniero alle prese con l'inglesità ed ovviamente la tradizione del Christmas pudding. Ironico e leggero, è un godibile raccontino per continuare, dopo il pranzo di Natale, a frequentare il cibo a calorie zero.

Merry Christmas!

Saturday 1 December 2012


Better safe than sorry

Durante un recente fine settimana cultural-masochistico a Stratford-upon-Avon, dove l'aspetto culturale era costituito dalla visione di una commedia di Shakespeare e quello masochistico pure (per la già sperimentata velleità dell'atto riguardo alla possibilità di comprensione), ho soggiornato in uno dei tanti bed&breakfast della zona imbattendomi nella concretizzazione fisica di una delle maggiori ossessioni inglesi, quella per la sicurezza, per il safety first.

Il phon che ho trovato nella stanza, infatti, non solo era fuori dal bagno ma aveva anche quattro barriere "funzionali"

1) per far funzionare il phon si doveva tenere premuto il pulsante sul manico, in caso di rilascio il phon smetteva di funzionare
2) l'interruttore nero I/O doveva essere posizionato su I
3) ovviamente la spina doveva essere inserita nella presa
4) la presa doveva essere attivata tramite l'interruttore posto a suo fianco

Un grande sforzo che, a pensarci bene, non garantisce neppure un sistema molto più sicuro di altri perché chiunque lascerà sempre attaccati l'interruttore I/O, la spina nella presa e la presa collegata alla rete dopo aver fatto la, seppur minima, fatica della prima volta!

Friday 16 November 2012


To pull through

"Girlfriend in a coma, I know / I know - it's serious...Do you really think / She'll pull through?" recita un canzone degli Smiths, band inglese di rock alternativo anni '80.

Non so se sia realmente esistita, e nel caso chi fosse, la ragazza della canzone ma oggi, per il giornalista Bill Emmott e per la regista Annalisa Piras, autori del film documentario "Girlfriend in a coma", la povera ragazza è la nostra Italia.

Non credo che questo film, per l'intrinsecità del genere, rivelerà qualcosa di nuovo a noi italiani, almeno non a quelli con un minimo di interesse per l'attualità. Anche se, a volte, rivedere i fatti messi tutti in fila fa un certo effetto e, da tanti elementi singoli e confusi, viene fuori un concetto, un'immagine nuova, precisa, chiara, un po' come quando si uniscono i puntini nei disegni della Settimana Enigmistica.

Sarà anche interessante vedere come reagiranno gli inglesi (sempre che si aprano un po' e vadano al di là di "Uh, oh, so surprising"). Secondo me una delle fortune dell'Italia è che pochi inglesi hanno il tempo e l'interesse di seguire da vicino le vicissitudini italiane, per cui quello che, mi pare, rimanga nel britannico medio è un'immagine un po' stereotipata, sole e buon cibo, Venezia e Firenze, italiani rumorosi ma simpatici. Ricordo ancora la faccia sbigottita, incredula ed anche un po' imbarazzata di un mio collega quando gli raccontai, con indubbio atteggiamento patriotticamente autolesionistico, che un Ministro della Repubblica avesse suggerito, parlando della bandiera italiana di, aperte virgolette, metterla al cesso.

"Italy's decline over the past 20 years has been horrifying: corruption, corporate power, media monopoly. So much for democracy." She'll pull through? Ce la farà, la ragazza e l'Italia, si chiedono la canzone ed il film.

To pull through significa proprio questo, farcela, riuscire a superare una malattia od un periodo difficile. Ce la farà? Secondo me sì, ce la farà. A patto che noi italiani siamo diposti a farcela. "Italiani sono sempre gli altri" ha detto una volta Francesco Cossiga. Forse dovremmo ripartire da qui.



Girlfriend in a coma uscira' a Londra Lunedì 26 Novembre.


Sunday 11 November 2012


To show off

To show off, mettere in evidenza le proprie capacità per vanto o esibizionismo - Wiktionary, non è un atteggiamento molto apprezzato in UK.

Ostentare chi si è e cosa si è fatto, vantarsi dei propri successi, esibire ricchezza e potere non crea ammirazione, casomai il contrario. Gli Inglesi preferiscono (o forse sono costretti a preferire, mi spingerei a dire, visto le convenzioni sociali) l'arma dell'ironia e dell'understatement.

Questo è un aspetto che ritorna spesso durante le chiaccherate con gli amici inglesi e che ho ritrovato in un interessante, anche se un po' troppo prolisso, libro "Watching the English: The Hidden Rules of English Behaviour" dell'antropologa Kate Fox.

E più si è upper class, più l'understatement è di rigore. Nel libro l'autrice fa l'esempio di dove si troveranno appese, in casa di una famiglia upper class, le foto che ritraggono i proprietari in compagnia di persone note ed importanti: non nella living room, dove costituirebbero un'ostentazione davvero piccolo borghese tradurremmo noi, bensì nella zona che porta al bagno di servizio per indicare che sono momenti della vita a cui si dà abbastanza importanza da incorniciarli ma non troppa da esibirli. Perché proprio il bagno di servizio e non quello privato? Perché è molto probabile che prima o poi un eventuale ospite usi il bagno di servizio e quindi incappi nelle foto. Estremamente contorto, e fondamentalmente ipocrita volendo, ma perfettamente logico nell'ottica di come show off senza show off.

Sempre gli amici inglesi ci ricordano che gli americani invece sono l'opposto, e quello che qui è malsopportato esibizionismo lì crea ammirazione sociale.

Tutto questo mi è venuto in mente stamattina, guardando le copertine di due settimanali che riportavano la notizia della rielezione di Obama dove, anche facendo finta di non conoscere la nazionalità delle testate, quella americana è più che evidente evidente!

Sunday 4 November 2012


Mind the gap

La scorsa settimana Johnson, il blog dell'Economist dedicato al linguaggio, mostrava una classifica sulla conoscenza della lingua inglese prodotta da EF Education First, un gruppo internazionale specializzato nell'insegnamento della lingua inglese.

La classifica si basa su un questionario online a partecipazione volontaria, condizioni che probabilmente limitano l'accuratezza dei risultati. Però se scorriamo la lista e cerchiamo l'Italia la troviamo al ventiquattresimo posto ed il gap tra la ventiquattresima posizione e le prime è tale da rimediare sicuramente l'eventuale errore statistico.



Niente di nuovo sotto il sole, ma vale la pena prendere l'occasione per riflettere: quanto ci perdiamo, come Italia, a non conoscere non dico una qualunque lingua straniera, ma quella di riferimento di internet e la più parlata al mondo come seconda lingua?

E non solo in termini di opportunità commerciali (utili a livello Paese) ma di opportunità sociali, di amicizia, di apertura mentale e di arricchimento culturale individuale (e quindi alla fine, globalmente, di nuovo, utili a livello Paese).

Italia, please, mind the gap, mind the future!

PS: Gap deriva dal norvegese antico, col significato di fenditura, crepa. "Mind the gap" è la celebre scritta sul marciapiede della metropolitana e dei treni per evitare che i passeggeri si facciano male salendo o scendendo dalle carrozze. Uomo avvisato mezzo salvato, anche in UK!

Saturday 20 October 2012


Enough is enough!

Comprereste un uovo di Pasqua a Gennaio? Ed un vestito di carnevale a Novembre? No, vero? Ed allora perché i supermercati ed i centri commerciali pensano che dovremmo cominciare a comprare i Christmas pudding a Ottobre? Perché vedo già rotoli di carta natalizia per incartare regali che ancora non ho neppure pensato a comprare? E perché i giornalini del supermercato hanno già le pagine centrali dedicate a come cucinare il Christmas turkey e, of course, su come ordinarne uno da loro?

Lo so, mi sa mi sono già lamentato di questo andazzo ma qui di anno in anno l'effetto peggiora. Se di solito l'oggettistica natalizia sbocciava a fine Novembre, l'anno scorso è apparsa sugli scaffali subito dopo Halloween. E quest'anno non c'è stato il tempo di strappare Settembre dal calendario che sono comparsi stands dall'immancabile colore rosso e bianco.

Ricordo una pubblicità italiana che diceva che il Natale quando arriva arriva. Ebbene, no. A beneficio di tutti i direttori del marketing ricordo che il Natale arriva il 25 Dicembre, e quello che c'è prima è il gusto dell'attesa, il nostro sabato del villaggio, un tempo dolce che non può essere dilatato all'infinito, pena la saturazione.

Tutti conosciamo i rudimenti dei meccanismi di vendita e la creazione, spesso surrettizia, del bisogno, per cui possiamo facilmente capire perché gli interessi commerciali, e i centri che ne rappresentano la concretizzazione fisica, alterano il calendario a loro beneficio, ma perché dovremmo passivamente accettarlo?

Quindi ho deciso che "enough is enough"! Ovvero quando è troppo è troppo - notando en passant che gli inglesi sono moderati e non hanno un "too much is too much", diventano già insofferenti ad enough :).

Apro il mio banchetto in questa virtuale ma pubblica piazza e lancio la mia personale petizione, una battaglia che giocherò sul loro campo, quello commerciale, parlando l'unica lingua che la società dei consumi conosce: il consumo, per l'appunto.

Il sottoscritto Nemo, nato a... residente a..., scientemente si impegna a non comprare nessuna oggettistica natalizia fino al 1º Dicembre come atto di riappropriazione del calendario e delle sue festività.

Tra l'altro una battaglia facile facile, essendo un agire che è un non agire. Consumatori di tutto il mondo, ignoriamoli!

Friday 5 October 2012


Violin/o

Le note di un pianoforte e di un violino che si intrecciano, si accompagnano, si alternano. Create dalle mani di un pianista argentino e di un violinista tedesco, il duo "El farabute" (ancora una volta la multiculturalità!), ci guidano dal centro della sala.

E' un sabato sera dedicato al tango, con una bella milonga con musica dal vivo; un po' troppo affollata in realtà, solo quelli bravi davvero riescono a ballare, in certi momenti sembra di stare fermi in coda e ti devi inventare cosa fare in quel mezzo metro quadrato che hai. Dicono che ballare in quel flusso sia parte del fascino della milonga, ma a me andrebbe bene anche diversamente!

Photo credits to Harriet Green


Se pianoforte in inglese si contrae comunemente in piano, violino si dice violin e questo mi ha fatto tornare in mente quando, tempo fa, tra italiani, scherzando si diceva che, così come per parlare spagnolo basta aggiungere una s, per parlare inglese basta togliere una o.

Mi è quindi venuta voglia di elencare un po' di parole italiane che una volta decapitate della o diventano inglesi, quasi un amichevole minivocabolario per chi l'inglese non lo conosce.

concert/o
accent/o
modest/o
classic/o
endemic/o
govern/o
rigid/o
cubic/o
liquid/o
magnetic/o
segment/o
static/o
spirit/o
leopard/o
modern/o
lucid/o
govern/o
traffic/o
iconic/o
ironic/o
sarcastic/o
violin/o
bastard/o
cement/o
candid/o
bulb/o
traffic/o
lament/o
magic/o
palm/o
romantic/o
rustic/o
e, last but not least, italian/o!

Il giochino può essere fatto anche con altre vocali. E lo faremo, alla prima occasion/e.

Monday 24 September 2012


Multicultural

Un collega ucraino, uno australiano ma originario di Taiwan, un paio di spagnoli, una cinese che arriva dallo stabilimento tedesco, un'italiana originaria della Cina, un tedesco, diversi indiani (o più probabilmente inglesi di genitori indiani), un francese originario dello Sri Lanka, una greca ed un'olandese. Ovviamente la banda di noi italiani. E poi, incontrati fuori dal lavoro, polacchi, altri francesi, serbi, croati, russi, argentini, cileni, iraniani.

E poi tutti i possibili incroci: italiani sposati o fidanzati con inglesi, un collega italiano sposato con una ungherese, un altro con una slovacca, un altro in civil partnership con un ragazzo dello Sri Lanka ed ancora matrimoni anglo-francesi, relazioni italo-spagnole, franco-ucraine, e figli inglesi di matrimoni anglo-francesi, relazioni italo-spagnole, franco-ucraine...

Insomma, la società inglese che mi circonda (e qua siamo a Bristol neppure a Londra) è indubbiamente, profondamente multiculturale.

Ok, io sono un expat per cui frequento principalmente expats e la mia percezione è sicuramente deformata ma i numeri del Migration Observatory descrivono, facendo una media, che un buon 10% della popolazione è straniera o cittadina britannica ma di origini straniere.
Ed anche se i problemi di integrazione esistono e, come sempre, si esasperano tra gli strati meno abbienti ed istruiti della popolazione dove paure, frustazioni, difficoltà sono maggiori (come tra l'altro ben illustrò un documentario della BBC girato proprio dietro casa mia) l'effetto a lungo termine, secondo me, è sano.

Le differenze culturali infatti sono tali e tante che uno alla fine le ignora e, dopo la curiosità o la diffidenza iniziale, a seconda del retroterra personale, esse diventano fattori senza importanza; la normalità diventa proprio la varietà, ed ognuno viene giudicato semplicemente per chi è e per come si comporta, non per dove è nato.

Come, forse (vedi cfr 48), scrisse Albert Einstein sul visto di ingresso in US, "razza: umana".

Tuesday 4 September 2012


Optional

"Ho sentito che lunedì prossimo è festa in India, è vero?" chiede Nemo alla fine della conference call, "Si, ma noi ci siamo, la festa è opzionale". "Come opzionale? Che vuol dire opzionale?" E siccome gli ingegneri a volte sono come i carabinieri, a domanda mi hanno diligentemente risposto: "Opzionale vuol dire che puoi prenderla oppure no". "Si si, certo...ecco io intendevo perché è opzionale...". "E' opzionale perché è una festa religiosa".

Interessante!

In effetti in un Paese in cui convivono induismo (80.5%), islamismo (13.4%), cristianesimo (2.3), sikhismo (1.9%), buddismo (0.8%), jainismo (0.4%) - dati da Wikipedia - più sette varie, non si può far festa tutte le volte che c'è una festa.

L'idea della festa opzionale mi piace, chissà se anche in Europa, dove domina una sola religione, si arriverà a tale rispettosa apertura.

Soprattutto considerando che, ormai, per molti Europei, il Natale ha perso ogni connotato religioso per diventare festa puramente consumistica e che, stranamente, proprio in Italia, cuore della cristianità, lo Stato non aiuta la spiritualità della festa suddividendo lo stipendio in 13 mensilità e dando la tredicesima proprio prima di Natale. Perché non darla a Luglio prima delle vacanze estive? Anzi, ancora meglio, facciamo che la tredicesima me la scelgo io in che mese la voglio, oppure facciamo come in UK, Francia, Germania e chissà quanti altri Paesi, dividiamo per 12, che sono abbastanza grande da gestirmi da solo!

Optional ed il sostantivo option vengono dal latino optio. Optio è anche un grado dell'esercito romano: attendente del centurione. Wikipedia riporta "sembra che optio avesse anche la responsabilità di sostituire il centurione nel caso in cui esso fosse stato ucciso o, comunque, impossibilitato a operare, ovvero ne era la sua opzione".

Suggestivo ma non provato. Don't quote me!

Sunday 26 August 2012


Interview #2 (a bordo del Vespucci): Sottotenente di Vascello Umberto Vegna

"Spotless!" mi risponde rapida e decisa una signora inglese a cui chiedo un commento sulla visita appena fatta. Spotless, senza la minima macchia. E non posso che condividere.

E' sabato 11 Agosto, sono a Portsmouth, cittadina portuale sulla costa sud dell'Inghilterra, a circa 100km da Londra, per visitare la nave scuola della Marina Militare Italiana, l'Amerigo Vespucci, approdata in UK dal 9 al 13 agosto in una tappa della campagna di istruzione per gli allievi della prima classe dell'Accademia Navale di Livorno, una crociera di addestramento lunga circa tre mesi, da Luglio a Settembre, e che tocca diversi porti europei.

La nave, un veliero con motore ispirato ai vascelli ottocenteschi, è veramente molto affascinante e di grande impatto visivo; il rigore militare che si fa bellezza estetica: parti metalliche che riescono a brillare anche sotto la pallida luce inglese, corrimano lucidissimi, una ragnatela infinita di cime che raccontano in silenzio la complessità intrinseca di una nave a vela, il tutto disposto con un ordine assoluto, quasi maniacale, del quale però chiunque abbia navigato anche solo un po' riconosce l'importanza funzionale.

Tutto questo ovviamente ha un prezzo e, come ci racconta il Sottotenente di Vascello Umberto Vegna, "Il ponte, in teak, ha bisogno di una continua manutenzione, viene lavato con soda caustica e spazzolato tre volte al giorno per evitare che la salsedine possa danneggiarlo; le vele sono in tela olona, un materiale non sintetico, quindi delicato, che ha bisogno di particolare cura e manutenzione; le cime sono in fibra vegetale - tranne i cavi di ormeggio che sono in fibra sintetica per motivi di sicurezza - e necessitano di essere sciacquate durante l'attività e sostituite ogni anno". Ma, specifica, "è tutto voluto perché la nave Vespucci rappresenta la tradizione italiana e non sarebbe lo stesso vederla, ad esempio, con cime in fibra in nylon o con dei winch".

Il concetto della tradizione è anche legato ad aspetti educativi, a favore dei cadetti che hanno superato il primo anno dell'Accademia Navale di Livorno. Un centinaio tra ragazzi e ragazze alle prese con la loro prima esperienza pratica di navigazione militare, ed infatti continua il Sottotenente, "le manovre fatte a mano servono per capire che per aprire una vela quadra, per manovrare, per ruotare pennoni bisogna lavorare in team, ci vogliono 30 persone."

I cadetti in realtà si sommano all'equipaggio della nave Vespucci che conta già circa trecento persone, per un totale di circa quattrocento.

E quanto è difficile la vita di bordo con così tante persone?

"La crociera addestrativa è il primo approccio che gli allievi hanno con la vita reale di bordo, un'esperienza che serve a completare l'attività teorica svolta in Accademia. Questo consente di fornire una visione a 360 gradi, un'esperienza durante la quale si capiscono quali sono le esigenze della nave, ma si sperimentano anche il lavorare in team, l'essere sotto stress ed il dormire poco".

Perché, quanto dormite?

"Dipende dai turni, i periodi di esercitazioni sono un po' più duri. Gli allievi dormono in amaca, è la tradizione, è una sistemazione logistica che può essere considerata un po' sacrificata (in effetti per me, pigro civile, l'amaca è ottima per un riposino pomeridiano ma l'idea di dormirci per 3 mesi non mi affascina, chiusa parentesi), ma è molto formativa perché riesce a creare lo spirito di gruppo: vivere a stretto contatto tutti insieme e riuscire in team a portare avanti determinati lavori".

Quali sono le attività svolte dai cadetti?

I cadetti, in navigazione, vengono suddivisi in squadre per garantire 24 ore su 24 tutte le attività della nave, squadre che hanno dei compiti ben definiti e che a turno vengono svolti da tutti: fare il briefing operativo, controllare lo stato delle macchine, la situazione della cambusa... Tutti vivono attivamente quella che è la nave, vengono integrati ed affiancati dal personale di bordo, che trasmette le nozioni che servono per i vari reparti, che sia il sistema nave per quanto riguarda la propulsione o gli impianti di sicurezza, o la gestione delle emergenze, antincendio, damage control, tutte attività che vengono svolte ogni giorno più volte al giorno da tutte le squadre".

E qui in UK quali attività avete svolto? C'è qualche relazione con la chiusura delle Olimpiadi proprio questo week end?

"Ne abbiamo approfittato per "unire" la campagna addestrativa degli allievi con l'attività diplomatica svolta dalla nave; abbiamo delle delegazioni di ufficiali, sottufficiali, marinai ed allievi che vanno a Londra; sono venuti in visita l'ambasciatore italiano a Londra e rappresentanti della Corona; ci sono inoltre attività di rappresentanza a bordo con delegazioni delle comunità italiane, come ad esempio l'Associazione Amerigo Vespucci e l'Associazione Fiorentini nel Mondo".

Si, perché, aggiungo io campanilisticamente, Amerigo Vespucci era Toscano, di Firenze, ricco figlio di notaio ricco (quando si dicono le tradizioni e la potenza delle corporazioni... Amerigo dette i suoi primi vagiti nel 1454).

Comunque, dopo questa chiaccherata col Sottotenente, mi sono reso conto di quanto la nave Vespucci porti in giro per il mondo una certa idea di Italia, efficiente, competente ed elegante che rappresenta forse più quello che vorremmo essere che quello che siamo. Ma le icone servono anche a quello, a indicare la via, anzi, in questo caso, la rotta.

Per chi fosse interessato, le prossime tappe toccate dalla campagna addestrativa sono:
- Dublino dal 23 al 27 Agosto
- Lisbona dal 4 al 7 Settembre
- Valencia dal 14 al 17 Settembre
Rientro a Livorno il 21 Settembre

Saturday 18 August 2012


Iconic

Il Big Ben, la London Eye, le White Cliffs of Dover, il colore rosso del Routemaster (il bus a due piani) ma anche il Routemaster stesso, la Mini (magari quella originale) o, per non limitare lo sguardo all'Inghilterra, il cavallino della Ferrari, i cerchi olimpici, la linea tuttora moderna del Concorde, la Tour Eiffel.

Tutte immagini rappresentative, riconoscibili, uniche, iconiche potremmo semplicemente dire, anche se, almeno io, in italiano questo aggettivo non lo uso mai.

Qualche settimana fa, mentre esploravo con passo lento i libri di una bella libreria di Bath, mi sono imbattuto in uno, la cui fascetta furbamente sottolineava "prima edizione firmata" e non ho resistito all'acquisto di impulso.

Perché la mini non è (stata?) meno iconic della Mini!

Thursday 9 August 2012


Proud

Se vi chiedessero di progettare la zona olimpica, cosa mettereste tra la stazione della metropolitana ed il villaggio olimpico?

a) niente, l'accesso deve essere il più rapido possibile
b) dei megaschermi, così le persone si pregustano l'atmosfera già da fuori
c) dei tendoni dove i bambini possono giocare alcuni sport olimpici
d) uno spropositatamente grande centro commerciale

Se avete risposto d siete in linea con le scelte reali: un bel centro commerciale, con tanti bei negozi, in cui spennare il consenziente visitatore olimpico.

Come, ad esempio, il sottoscritto, che, non avendo un biglietto olimpico, non ha resistito alla sua mini esperienza olimpica andando a vedere, qualche mese fa, il villaggio olimpico dalla finestra dello shop olimpico.

E lì, mentre come tutti si esaltava per un insieme di oggetti ai quali, in circostanze comuni, non avrebbe dedicato neppure un minuto, dal comune cappellino all'anonimo ombrello, tutti elevati grazie al magico loghino al rango di imperdibili memorabilia olimpici, ha visto in bella mostra questo cartello:

Insomma il Comitato Olimpico ha deciso che lo shop olimpico, ma immagino tutto il villaggio olimpico, è orgoglioso di accettare solo ed esclusivamente carte di credito Visa.

Come in un telefilm poliziesco americano, durante la fase di giuramento in tribunale; già me lo vedo il dialogo tra il rappresentante del comitato olimpico, in piedi, alla sbarra, con la mano poggiata sulla carta di plastica e di fronte a lui il CEO della Visa: Promette di accettare Visa, solo Visa, nient'altro che Visa? Dica lo giuro. Lo Giuro.

Se si vuole dare ancora un senso alle parole, anche mettendo da parte gli sbandierati valori olimpici ai quali ormai nessuno fa più neppure finta di credere, se proprio bisogna pagare pegno agli sponsor (e forse giustamente visto la quantità di denaro che investono non certo per scopi filantropici) perché non dire semplicemente "London2012 shop accepts only Visa and cash". Semplice, pulito, onesto. Cosa c'entra l'orgoglio?

Anche perché, la previsione è facile, se tra quattro anni un diverso gruppo bancario proporrà un migliore contratto, troveremo un cartello rivendicante che Rio2016 shop proudly accepts only MasterCard (o Amex, tanto sono solo loro tre).

Viviamo in tempi di precarietà ed anche i motivi di orgoglio sono diventati a tempo determinato: contratto a 4 anni con possibilità di rinnovo a scadenza. Come l'affitto. L'affitto olimpico.

Saturday 4 August 2012


And the winner is...

Dopo solo una settimana dall'inizio dei Giochi, sono lieto di condividere con voi chi sarà, anzi chi già è, la Nazione vincitrice di queste Olimpiadi.

Ladies and Gentlemen, the winner is: 中國 o, come ci piace scrivere a noi, la Cina. Senza possibilità di errore o controprova.

Come lo so? Basta andare in un qualsiasi shop olimpico: stickers made in China, magliette made in China, tazze made in China, matite, borsoni, asciugamani, pupazzetti, portachiavi, marsupi, spillette, ombrelli, macchinine; tutto rigorosamente, esclusivamente, made in China.

Poi forse, come ciliegina sulla torta, la Cina sarà anche la prima Nazione nel medagliere. Ma l'Olimpiade vera, quella del denaro, il vero driver di tutto, è già stata ampiamente vinta a tavolino.

Perché, con buona pace per Pierre de Frédy, Baron de Coubertin, di cui tra l'altro il prossimo anno cade il 150° della nascita - buono a sapersi per lucrare un po' sull'anniversario - lo spirito olimpico ormai è uno spirito economico.

PS: disicanto e rigetto consumistico post visita, con relativo immancabile bulimico acquisto di oggettistica varia, di uno dei tanti shop olimpici...

Saturday 28 July 2012


Connecting the dots

In un pomeriggio di metà maggio, mentre il vostro "man in UK" era a Londra, in fila per la visita alle stanze da cui Churchill guidava la Gran Bretagna durante la seconda guerra mondiale (il Churchil War Rooms, situato nel cuore di Londra, a due passi da Downing Street, Westminster Abbey e St James's Park), ha notato un elicottero con la livrea della bandiera inglese che volava ripetutamente sopra la zona, e ha provato, senza troppo successo, a fotografarlo.

L'elicottero era un AW139 AgustaWestland, qualcosa di cui essere orgogliosi come italiani visto che per una volta è stata l'italiana Agusta a comprare l'inglese Westland (nel 2005 e giù di lì, con il 139 progettato e prodotto prima della fusione).

Le voci sulla cerimonia di apertura dei Giochi parlavano di un filmato in cui James Bond si calava nello stadio da un elicottero, ma solo stamattina, guardando il filmato, ho "unito i puntini".



Anche se è stata una festa tutta inglese che ha giustamente celebrato la britishness, è stato bello ritrovarci un po' di Italia, e pure high tech niente pizza e mandolino per una volta!

GO ITALY!


Addicted

La mano chiusa a pugno tranne l'indice che punta il ripiano dietro al bancone, la voce, incerta, che tradisce un po' d'imbarazzo "me ne da due?". L'edicolante, o meglio il suo equivalente inglese, il gestore dello shop della stazione di servizio, che ti scruta, e intuisci che pensa "ma quanti anni ha questo?". Ma i soldi sono soldi, pecunia non olet, anche in UK.

Ci sono ricascato, e siccome in un blog si condividono pubbliche virtù e vizi privati, ammetto che ieri ho interrotto anni e anni di astinenza.

L'ultima volta fu quasi vent'anni fa.

Buttato l'ultimo pacchetto pensavo non ne avrei piu aperto uno. Ed invece, forse la crisi da rientro, forse la consapevolezza che mi aspettano settimane pesanti (agosto sarà, incredibilmente, mentre mezza Europa è in ferie, un mese di consegne lavorative) quando l'ho visto, quando ho visto il pacchetto blu ed il familiare logo colorato, la spinta all'acquisto d'impulso è stata irrefrenabile.

Tra l'altro, poiché una buona giustificazione aiuta sempre quando si compiono certe azioni - ho pensato che, essendo un prodotto italiano, stavo contribuendo pure alla bilancia delle esportazioni.

Sono quindi arrivato a casa, mi sono seduto sul divano, mi sono rilassato pregustandomi il momento, ho scartato il pacchetto godendomi il fruscio della carta che si strappa, ed ho estratto le figurine Panini dell'album di London2012.

Sono iniziate le Olimpiadi, ed anche se si rischia il rigetto da overdose, non potremo non parlarne pure noi!

PS: le ultime figurine acquistate furono quelle di Forattini, con Repubblica, bellissime, ce le ho ancora! Chi se lo ricorda?

Friday 13 July 2012


High tea

La giornata trascorsa ad Henley, di cui abbiamo parlato la settimana scorsa, è stata così ricca di spunti ed osservazioni curiose che raccoglierle tutte in un solo post non era proprio possibile.

Tra i tanti aspetti che hanno catturato l'attenzione di noi expat-turisti, uno, in quanto quintessenza della tradizione british, vale la pena ricordarlo: la pausa tea.

Tra le quattro e le cinque infatti (il riferimento temporale è per chi volesse replicare con precisione l'esperienza) il programma riportava "tea time".

Ovviamente trattandosi di Henley la pausa tea non poteva essere rappresentata solo da una semplice good cuppa, bensì quasi da una cena che, nel nostro caso, era composta da: tea e latte di accompagnamento, scones (buonissimi panetti con o senza uvetta, da spalmare di clotted cream e marmellata, spesso di fragole, soprattutto in questa stagione), sandwiches, con l'immancabile salmone che fa tanto alta società, e qualche tortina tra cui una delle piu' saporite lemon cake mai assaggiate.


Questo per me è un afternoon tea; un'amica inglese ha detto che un tea così abbondante potrebbe essere chiamato anche high tea, anche se wikipedia fa una sottile distinzione di orario e di menu.

Minime differenze a parte, vi avverto che se un inglese vi invita per un tea alle sette di sera invece che alle quattro di pomeriggio, probabilmente vi sta invitando a cena. Questo confonde un po' le cose e implica il rischio di saltare la cena o cenare due volte!

Comunque, un tea caldo, con o senza caloricamente ricco accompagnamento, è un menu piacevole, che tuttavia senza rimpianto nelle prossime due settimane sostituirò con gelati, cocomeri, paste fredde, insalate e tutto l'armamentario culinario necessario a contrastare l'italica calura.

Insomma è arrivato tempo di vacanze. Ci risentiamo per fine luglio, e sarà già ora di Olimpiadi...

Cheers!

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Chiuso per ferie
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English and its neighbours
tea:m [I] tee m [D] thé m [F] té m [E]

Friday 6 July 2012


Regatta

Henley Royal Regatta is undoubtedly the best known regatta in the world.

Undoubtedly? Best in the world? Non riesco a credere che questa frase così assertiva, così tranchant, così spaccona direi, tratta dal sito web della manifestazione, possa essere uscita dalla mente di qualche distinto signore inglese. Dov'è finito il tanto ammirato understatement?

Fatto sta, però, questa frasina "markettara" ha fatto il suo dovere e sabato scorso siamo partiti con alcuni amici, destinazione Henley, paesino sulle rive del Tamigi, una cinquantina di km ad est di Londra.

L'Henley regatta è un evento annuale che si svolge su più giorni e raggruppa una serie di gare di canottaggio, con equipaggi che vengono da tutto il mondo. Il programma è davvero molto ricco, con gare ogni dieci minuti circa, dalla mattina alla sera.

Quindi un evento prettamente sportivo penserete voi. In realtà no, tutt'altro.

L'idea che mi sono fatto è che le gare siano solo una scusa, a dirla tutta non si vede neppure chi le vince, il percorso è troppo lungo e non ci sono maxischermi; si fa solo un po' di tifo quando passano le imbarcazioni e poi si torna alle attività principali: bere, mangiare, divertirsi, farsi vedere, e, per alcuni, fare public relations.

Sì perché l'Henley regatta è uno di quegli eventi dove la società bene, quella delle esclusive scuole private e dei prestigiosi club di canottaggio, riconoscibilissimi nelle loro estrose divise multicolore, ama incontrarsi.

Però anche se ricchi e upper class, restano pur sempre inglesi, per cui la pausa per il lunch time diventa l'occasione per un picnic. E la felicità è un sandwich (magari con salmone invece che col tonno) e abbondanti dosi di alcohol (magari champagne invece di birra). Ed il picnic si fa sul prato trasformato in parcheggio, per cui si assiste a questo spettacolo un po' comico, più che altro perché insolito, di uomini in blazer e cappelli di paglia e donne in eleganti abiti da cocktail e tacchi alti che sorseggiano champagne in flute di plastica e mangiano tramezzini tra una Rolls-Royce ed una utilitaria, perché in teoria, molto in teoria, siamo tutti uguali, ed il parcheggio è accessibile a tutti.

Però le differenze ci sono e per evitare che questi due mondi si mescolino troppo, ci sono zone esclusive, dove può entrare solo chi fa parte dei club di canottaggio ed i loro amici, zone semi esclusive, dove basta pagare, e poi c'è il tratto lungo fiume, una striscia larga un metro che a fine giornata diventa un unicum di persone, plaid da picnic e, soprattutto, bottiglie vuote.

E siccome una società classista come quella inglese non può non aver sviluppato tecniche efficaci per evidenziare a colpo d'occhio chi è veramente esclusivo e chi si è solo tra-vestito come tale, non vendono biglietti ma badge da mettere in vista, di forme, colori e materiali diversi, dal vile cartoncino allo scudino metallico, ed io mi sono chiesto quelli che ne esibivano quattro o cinque chi fossero, se mostrassero quelli degli anni precedenti, perché le zone ad accesso limitato erano solo due!

Comunque la giornata che ne esce fuori è davvero piacevole, l'atmosfera è molto rilassata e festaiola, ed anche giocare allo snob per un giorno alla fine è divertente, una sorta di carnevale per adulti. Highly recommended.

Henley Royal Regatta is undoubtedly the best known regatta-party in the world.



English and its neighbours
regatta: regata f [I] regatta f [D] régate f [F] regata f [E]


Sunday 1 July 2012


To be under the weather

17° nuvoloso, 14° pioggia, 13° cupo, 16° schiarita, 15° ventoso... la musica di accompagnamento di questo giugno appena terminato è stata più o meno questa, un adagio ballato tra i 9° e 16° più che un allegro con o senza brio.

E l'effetto del suddetto clima sul mio fisichetto da europeo del sud, viziato dai 35° all'ombra estivi, non poteva che essere quello, prima o poi, di farmi ammalare.

E' successo lo scorso fine settimana, passato con un fastidioso mal di gola e del tutto senza voce. Un brutto raffreddore, ribattezzato con scherno dalla popolazione femminile man flu e riconosciuto invece, con gradita empatia, come deadly flu dai miei colleghi maschi.

Tralasciando la guerra dei sessi, quando non ci si sente troppo bene, si può utilizzare un più neutro to be under the weather che mi piace molto anche perché la dice lunga, ancora una volta, su cosa ci si debba aspettare dalla unpredictable British weather.

Ci sono stati, come sempre, dei pro e dei contro a restare per un paio di giorni confinato in casa: se da un lato ha favorito alcune piacevoli scoperte, come una Miss Marple d'antan su youtube in Murder, She Said, dall'altro mi ha impedito di vedere Italia-Inghilterra al pub - anche se poi mi sono preso la rivincita gustandomi una Italia-Germania in compagnia di, per fortuna sportivi, colleghi tedeschi.

Stasera invece mi sa che la finale me la seguo da casa. Pizza surgelata e italica Peroni. Tiepida, in onore alle tradizioni inglesi e dei 16° previsti per le otto.

FORZA ITALIA!

Monday 18 June 2012


Interview #1: The Shrink and the Sage

Procrastinare può essere una cosa positiva? Come riparare un cuore spezzato? Cosa dovremmo aspettarci dagli altri? Queste sono alcune delle domande che vengono affrontate da The Shrink and the Sage, una rubrica di FT Magazine, il domenicale del Financial Times.

L'idea è quella di discutere l'argomento dal differente punto di vista di una terapeuta (the Shrink alias Antonia Macaro) e di un filosofo (the Sage alias Julian Baggini).

Ne avevo già parlato qualche mese fa nel post shrink perché la rubrica mi era piaciuta molto, sia per i contenuti, stimolanti ed intelligenti, sia per la forma del dialogo, che mi ricorda molti dei testi classici di filosofia o di scienza.

The Shrink and the Sage adesso è diventato un libro che riprende ed espande le tematiche trattate sul giornale.

Ho avuto l'occasione di incontrare gli autori alla presentazione del libro. Quello che segue è un estratto del talk e dell'intervista che mi hanno gentilmente concesso.

La presentazione del libro è iniziata con una discussione su cosa sia la filosofia e quale sia il lavoro del filosofo rispetto al compito dell'attività terapeutica; perché se è vero che entrambe le discipline hanno un retroterra comune e si muovono in un campo comune, è altrettanto vero che c'è un'ovvia differenza di finalità: la ricerca della verità nel caso della filosofia, il far stare meglio il paziente nel caso della terapia.

Il rapporto tra le due discipline è comunque talmente stretto che esiste anche una professione "ponte": quella del philosophical counsellor. Una disciplina interessante purché non si ricorra ai filosofi come ad un cestino di frasi da cui pescare quella che ci fa più comodo per l'occasione ma si consideri criticamente quello che hanno detto; un punto di partenza più che di arrivo insomma.

Approccio che è stato suggerito anche per il libro, da intendere non come un manuale che dà facili ricette o formule risolutive ma come un'opporunità di riflessione, di lavoro e auto-lavoro.

Tra le diverse filosofie, quella aristotelica è guardata con particolare attenzione e le è dedicato l'inizio del libro. Ma io ho trovato interessante anche il richiamo alla filosofia stoica ed al suo sano distacco dalle cose materiali, e soprattutto al fatto che non vada considerata come la migliore soluzione per affrontare i rapporti umani perché la distanza sfocia nel cinismo, a riprova che una lettura critica della filosofia è sempre necessaria.

Ed è proprio pensando ad altre filosofie, religiose questa volta, che ho preso spunto per la mia chiaccherata con gli autori:

While reading the book, I spotted the word Buddha appearing on the first page of the Introduction and word mantra in the title of the Conclusion chapter. Moreover one of Julian's TED talk, Is There A Real You?, ends quoting a sentence from Buddha; so I was wondering what you think about Buddhism. Is it, quoting Einstein, "a philosophy that copes with moderns scientific needs better than others"?

Julian: This is interesting, I haven't realised it. Both of us we have found interesting things in Buddhism over the years, without being Buddhist. From my point of view it's clear that Buddhism has a very sophisticated system of thought, particularly for its time; don't overstate this, it's also mixed up with a lot of completely outdated superstitions but mixed with all of that there is very advance thinking and it is true that if you strip away the more superstitious elements, that just reflect the culture it came out of, you are left with a lot of way of thinking which are more amenable to contemporary ways of thinking. I think the problem is that people often want to imagine that Buddhism is completely compatible with everything we know now about science, and that science has vindicated Buddhism. I think that this is too strong.

Antonia:I think Buddhism is really interesting, I have a longstanding interest in Buddhism even though there are a lot of areas of it that I just can't accept. "Life is suffering" is a really good starting point in life. Recently I've realised that if you boil it down to really fundamental components, mindfulness and compassion are the most important things in life. Having said that, you have to get rid of all the metaphysical bits I don't accept and I think don't fit particularly well with what we know about the world.

Perché non possiamo non dirci cristiani" is the title of a famous essay from Italian philosopher Benedetto Croce. For obvious historic and geographic reasons, Christian culture is wide spread in Italy and quite rooted in the people behaviours. Even though Croce was not strictly thinking to Italians but to the impact that Christianism had on Western culture, if you should say what British cannot avoided to be called, what would you think at? What has influenced them mostly?

Julian: I think you could say we can't avoid calling ourselves Protestants. There is something about the protestant outlook which is very deep-rooted in the British way of thinking. It's the idea that there is a certain, almost puritanical, keypoint. It's seems odd because you think of British people drinking too much, eating too much, but it's tied to the puritanical thing: it's the excess or nothing kind of thing. You drink to get drunk or you eat to fill yourself up; just taking pleasure in the way that the Catholic countries do food and drink seems to be an anathema. The British have trouble doing that, you go mad or you avoid it. It's feast or famine, it's binge or purge, it's one of those two things. So there is that, but there is also the specific Anglican thing: that actually we don't think too much about religion but we are kind of glad it's there. A lot of opinion polls and surveys show that it continues to be the case that most people consider themselves to have some kind of spiritual aspect, only a minority embrace a full blown atheism but even a smaller minority are actively religious.

To me the British are pragmatic, maybe I'm too much influenced by the working reality but to me it look like they have a very pragmatic approach to life

Julian: Pragmatic is a good way to put it but it's also the Protestant thing, it's not just pragmatic it's actually functional as well; things like food and drink become functional: alcohol is a tool to get drunk with and food is a tool to feel full with or to get through the day with; we are not actually very good at just enjoying thing for their own sake.

Dalle risposte e dal talk mi sento di dire che la migliore pubblicità per questo libro sono gli autori stessi. Porsi domande, quelle giuste, darsi risposte vere, fare un lavoro continuo su se stessi, leggere criticamente i classici della cultura umana, sia occidentali che orientali, è l'unico modo per affrontare, se non serenamente, almeno con lucidità, le intemperie della vita.

Riferimenti bibliografici per chi si fosse incuriosito:

- The Shrink and the Sage
- microphilosophy, big thoughts can come in small packages il sito di Julian Baggini
- Le pubblicazioni di Antonia Macaro
- Le pubblicazioni di Julian Baggini

Friday 8 June 2012


Art

Lo squalo è lungo, più lungo di me e con le fauci completamente aperte.

Mi avvicino, lo guardo con attenzione, lo esamino quasi. La pelle grigiognola, l'interno della bocca bianchissimo. Dovrebbe incutere timore ma gli occhi spenti e la pelle raggrinzita comunicano un'aria stanca, un po' sonnacchiosa: più che aggressivo mi sembra uno squalo che sbadiglia. Anzi nemmeno quello, perché anche un pigro sbadiglio ha pur sempre una sua lenta dinamica, mentre questo squalo è immobile, bloccato in una sorta di fermoimmagine tridimensionale, prigioniero in un acquario di formaldeide che è la sua trasparente bara di vetro.

Attorno, le pareti della stanza sono tappezzate da sottili vetrine multipiano, contenti pillole medicinali accuratamente allineate in singola fila su ogni ripiano. Tanto asettiche, neutre ed anonime quanto una malattia puo' essere invece infettiva, dolorosa, personale.

E poi ci sono i pesci morti, anch'essi annegati (ammesso che lo si possa dire per un pesce) in una soluzione di formaldeide. Ognuno nel suo parallelepipedo trasparente, tutti allineati a destra in un'installazione e, immagino, per amor di simmetria (e di facile fatturato), a sinistra in un'altra gemella.

E poi un portacenere bianco, di forma semplicissima, classica: rotondo, con tre buchette disposte a 120 gradi dove far riposare la sigaretta tra una tirata e l'altra. Un portacenere gigante però, di più di due metri di diametro, pieno di vere cicche - che fanno il loro dovere emanando vera puzza di cicche - e pacchetti vuoti ed accartocciati, ormai inutili, morti pure loro.

E poi la testa mozzata di una mucca con delle mosche che le volano attorno. E sara' anche il ciclo della vita ma è davvero disturbante, e lo sarebbe pure la visione, che lascio agli altri, delle interiora di una mucca tagliata a metà, per lungo, ed esibita in due bacheche tra cui gli inglesi, con innata dedizione alla coda, sfilano pazientemente.

Il tutto inframezzato, forse per riprendere il fiato, da tante tele bianche piene di pallini colorati, anche questi però ripetuti ossessivamente, o quanto meno serialmente: tutti dello stesso diametro, perfettamente tondi e disposti in reticolo, equidistanziati di una lunghezza pari ad un diametro in entrambe le direzioni.

Ed infine, in un'altra sala, completamente buia, "For the love of God" il famoso teschio (di platino) interamente ricoperto da un reticolo ordinato di diamanti. Un'opera dove il sentimento della morte, usualmente indotto dalla visione di un teschio, viene annichilito da una miriade di luci colorate, purissime e vivaci, in cui i diamanti si accendono e si spengono sotto il fascio di luce che illumina il teschio. Un oggettino da undici milioni di sterline di costo di produzione; il valore di mercato è molto fluttuante, quello artistico giudicatelo voi.

Le opere di Damien Hirst, talentuoso e furbo artista concettuale inglese che si confronta con gli universali temi della vita e della morte, sono in esposizione alla Tate Modern di Londra fino al 9 Settembre; "For the love of God", gratuitamente, fino al 24 Giugno.



English and its neighbours
art: arte f [I] Kunst f [D] art m [F] arte f [E] ars, artis [L]




Sunday 3 June 2012


Union Flag

Union Flag su tazze, piattini e bicchieri. Union Flag su confezioni di carte da gioco, su stereo, su cappellini, ombrellini, foulards e magliette. Su portachiavi, portafogli e borse. Sulle scatole di caramelle e di biscotti.

Siamo arrivati all'atteso Queen's Diamond Jubilee (weekend) che celebra i 60 anni di regno di Elisabetta II, per cui la bandiera del Regno Unito tappezza oggetti, strade, case e negozi.

E' ovunque e su tutto.

Ma anche su questo era proprio necessario? Ma la Elisabeth lo sa?

PS: Il Regno Unito, già che ci siamo ricordiamolo, include ma non è solo l'Inghilterra:

United Kindom (UK) = Great Britain + Northern Ireland
Great Britain (GB)= England + Scotland + Wales

English and its neighbours
flag: bandiera f [I] Flagge f [D] drapeau m [F] bandera f [E] vexillum, vexilli [L]

Wednesday 30 May 2012


Weekend

"E in questo sabato qualunque un sabato italiano..." cantava Sergio Caputo alla fine degli anni '80.

Beh, lo scorso sabato e più in generale lo scorso fine settimana per me è stato molto molto italiano ma per nulla qualunque, un fine settimana che aspettavo da molto tempo a dirla tutta.

Londra ed un inaspettato sole estivo hanno fatto il resto.

Venerdì sera incontro con Marco Travaglio e Antonio Padellaro dal titolo Fatti non quotidiani: da Berlusconi all’Europa di Monti, fuggire o tornare? Per chi non avesse voglia o tempo di guardarsi il link, fondamentalmente la risposta di Padellaro è stata che no, non è proprio il momento di tornare perché le opportunità lavorative in Italia non sono migliorate; mentre Travaglio ha sottolineato che se si è interessati ad entrare in politica, questo è il momento di tornare, perché il crollo dei partiti lascia aperte praterie sconfinate.

Sabato sera concerto di Daniele Silvestri. Onestamente eccellente. Forse perché era la fine del tour, o perché invece delle platee oceaniche che consentono gli stadi eravamo poche centinaia di persone in un locale chiuso, Silvestri, come direbbero i bravi giornalisti, si è speso con generosità, in un concerto senza scaletta in cui ha eseguito le canzoni che gli venivano richieste (o meglio urlate) da noi pubblico. Ovviamente non ho potuto non unirmi al coro di Questo paese e a quel lucido bellissimo poema di Gaber che è Io non mi sento Italiano...ma per fortuna lo sono.

Un denso fine settimana insomma, arricchito dalla compagnia di amici, inframezzato da piacevoli pennichelle ad Hyde Park, pedalate notturne in Barclaysicletta, assaggini vari al Borough Market, una foto alla placca del binario 9¾, una capatina alla Tate Modern, ed anche, on peut pas tout avoir malheureusement, inaspettati incontri mancati.

E questo era solo l'antipasto: è alle porte il fine settimana dell'anno, il (very) long Bank Holiday che celebra i 60 anni di regno della Regina. E noi, a differenza di molti inglesi che approfittano per andarsene in qualche spiaggia del mediterraneo, da bravi turisti ci saremo.

Turisti sì, perché tante volte vivere all'estero è dura ma altrettante sembra davvero di vivere in vacanza!

Wednesday 23 May 2012


To draw an error

Qualche mese fa una mia amica siciliana ha scritto alla BBC per lamentarsi del fatto che in una loro trasmissione abbiano affermato che la Sicilia disti pochi chilometri dall'Italia. Ovviamente la polemica non è su quanto disti ma sul fatto che la Sicilia sia Italia e quindi non ne possa distare.

Recentemente la BBC le ha mandato una compita risposta dove i "thank you", i "sorry" e gli "apologise" si sprecano. Ho avuto il permesso di riportarla qui integralmente:

Thank you for contacting us about ‘Sicily Unpacked’ shown on 13 January.

We apologise for the severe delay in replying. It was caused by an admin error and we’re very sorry for this.

We understand you felt it was incorrect to state that Messina is a few miles away from Italy when in fact it is part of Italy.

We apologise for this mistake, you are correct and we did of course mean to say “Italian peninsula”.

At the BBC we go to great lengths to ensure accuracy in all of our journalism. However, as we're sure you can appreciate, occasionally mistakes occur. We are sorry if this caused you any offence and we hope that this explanation helps to assure you that we have taken your concerns seriously and made them readily available to all the relevant editorial staff.

Thank you for drawing this error to our attention and for taking time to contact us.

Kind Regards


Dal punto di vista dell'inglese mi sono piaciute due espressioni che non conoscevo: to go to great lengths e to draw an error.

L'errore invece mi ha ricordato quel vecchio slogan di un mobilificio che recitava "consegna in tutta Italia, isole comprese", dove quel pleonastico isole comprese, mi sembrava sottolineasse che non fosse per niente scontato che l'Italia tutta comprendesse anche le isole.

Però, però...Com'è che la BBC è caduta in questa svista? Ok, loro dicono che con Italia intendevano la penisola Italiana ma per me la spiegazione è più sottile ed inconscia.

Saprà di classica dietrologia italiota ma la mia idea è che gli inglesi, isolani pure loro, abbiano semplicemente trasposto sulla Sicilia e l'Italia il loro modo di sentire la loro condizione. Una pubblicità di un servizio di pulmann che circola in queste settimane nella metropolitana di Londra può rendere l'idea di cosa penso: leggete la scritta nel disco rosso.


"Megabus.com also goes to Europe"?? Sorry for drawing this error to your attention ma in Europe, volenti o nolenti, ci siete già!

Friday 4 May 2012


Six (degrees of separation)

Qualche anno fa, quando spuntarono i social networks (perché si, incredibile ma vero, c'è stato un tempo in cui non esistevano) andò di moda parlare della teoria dei sei gradi di separazione.

Per chi non la conoscesse è quella suggestiva teoria secondo la quale è possibile mettere in contatto 2 persone qualsiasi tramite non piu' di 5 intermediari o, per dirlo in coerenza con il nome della teoria, in non più di 6 passaggi. Il postulato risale al 1929, e lo si deve allo scrittore ungherese Frigyes Karinthy (il resto della interessante storia su wikipedia).

Tutti in contatto con tutti è intrigante ma vorrebbe dire, chessò, che io, ma anche voi, siamo a soli 5 intermediari (o meno) dal Papa o da Barack Obama. E questo sembrerebbe quantomeno ottimistico.

Sembrerebbe se non fosse che ho scoperto che il marito di una mia collega fa l'attore ed ha un ruolo importante in un film diretto da Angelina Jolie, ed allora il gioco è fatto: Nemo-collega(1)-marito(2)-Jolie(3)-Obama(4)-Papa(5). E visto che ci avanza anche lo spazio per un intermediario, potrei farlo io nei vostri confronti, e quindi: voi-Nemo(1)-collega(2)-marito(3)-Jolie(4)-Obama(5)-Papa(6)

Oppure ancora, un vostro amico potrebbe essere interessato a sapere che, grazie a voi è a soli 4 intermediari dalla Jolie o una vostra amica a 5 da Brad Pitt.

Il giochino è divertente ma in realtà abbastanza infruttuoso (dubito che potrei chiedere alla mia collega di chiedere al marito di chiedere alla Jolie di chiedere ad Obama se voi potete prendere un tea con il Papa) e funziona solo se c'è un punto di svolta, che mette in contatto il mondo del 99% con quello dell'1%, come si dice oggi.

In realtà, proprio grazie ai social networks, la teoria dei 6dos si è compressa fino a zero gradi di separazione perché tutti possono entrare in contatto diretto con tutti (loro dicono diventare amici ma mi sembra un po' eccessivo), senza intermediari. Od almeno provarci.

Che faccio divento un follower di #Papa e chiedo un incontro?

English and its neighbours
six: sei [I] Sechs [D] six [F] seis [E] sex [L]

Friday 20 April 2012


Please touch!

All'inizio di ogni anno, l'azienda per cui lavoro organizza un evento per celebrare i risultati dell'anno precedente e presentare gli obiettivi di quello appena iniziato. Da un paio di edizioni, a questo evento viene invitato a parlare anche uno speaker motivazionale che spesso racconta quelle che sembrano un sacco di ovvietà, ma di quelle che di tanto in tanto fa bene rinfrescare.

Per esempio quest'anno ci hanno suggerito di "controllare le variabili controllabili" perché tanto su quelle incrontrollabili non ci possiamo fare niente, di "investire sui nostri punti di forza" consiglio vagamente in controtendenza con l'approccio più diffuso di colmare i punti deboli, ed infine di "don't say don't" perché se ci dicono di non fare o pensare a qualcosa probabilmente non faremo che (o penseremo che) a quella.

"Please don't touch" è la scritta che si trova in molti musei, per ricordarci che quella statua, dipinto o installazione non va sfiorata, che bisogna resistere alla tentazione di sentire quanto sia freddo quel marmo modellato da Michelangelo o di capire se i semi di girasole dell'istallazione di Ai Weiwei alla Tate sono incollati tra loro o stanno su per gravità.

Qualche settimana fa sono andato alla scoperta della parte est dell'Inghilterra, dedicando un giorno alla visita di Brighton e del suo Pavillion. Per chi non lo conoscesse (come me prima di venire in UK) è un palazzo in stile orientale - indiano l'esterno, cinese l'arredo interno - che l'estravagante ed edonista Re Giorgio IV, sul trono 200 anni or sono, abitò fin da giovane come casa di feste, ristrutturando quella che prima era una farmhouse.

Gli interni del palazzo sono fastosi e ricercati, e le pareti ricoperte di tessuto; immergono il visitatore in quella che sarebbe potuta essere in Occidente l'idea della Cina nell'ottocento (quando in ben pochi ci erano stati o avevano la possibilità di andarci davvero).

In una stanza secondaria, che porta all'immancabile coffe shop, i gestori del palazzo-museo hanno attaccato al muro dei quadretti di tessuto da parati con scritto sopra "please touch". Sono un po' sporchini e lisi. Lì per lì non si capisce il motivo, poi si nota che accanto ad ognuno di essi c'è un quadretto di tessuto gemello, ma riparato da un vetro, ed il confronto fa capire quanto anche un distratto sfioramento da parte del turista curioso, sommato a quello di tutti gli altri che hanno avuto lo stesso impulso, possa consumare una superficie.

Semplice ed immediato, no?

PS: To touch deriva dal francese toucher e quindi segue lo stesso ramo mediterraneo di toccare/tocar/tangere (tangere, che alla prima persona fa tango, un ballo dove in effetti c'è contatto, ma chissà se c'è qualche nesso). Il tedesco con berühren prende un'altra, misteriosa, strada.

English and its neighbours
to touch: toccare [I] berühren [D] toucher [F] tocar [E] tango, -is, tetīgi, tactum, -ĕre [L]

Saturday 14 April 2012


Bridge

Putney Bridge è un ponte sul Tamigi che unisce i quartieri di Putney e Fulham e mi chiedo perché Putney abbia vinto su Fulham ed il ponte non si chiami Fulham Bridge o almeno Putney-Fulham o Fulham-Putney Bridge.

Putney Bridge è un ponte ma è anche il nome della stazione della metropolitana di Londra che ad un estremo del suddetto ponte ha la fermata.

Putney Bridge è sulla linea verde, la stessa di Westminster e di Victoria ma non è sicuramente uno dei punti caldi del circuito turistico londinese.

Non ci si passa per caso. Ci si va apposta. Una volta l'anno.

E' dal Putney Bridge infatti che parte la storica gara di canottaggio tra gli equipaggi studenteschi di Oxford e Cambridge, competizione talmente "iconic" che si chiama semplicemente "The Boat Race" senza bisogno di specificare che boat e che race.

Quest'anno ho colto l'occasione di una Pasqua trascorsa in terra inglese per assistervi.



Nonostante la fredda giornata che invogliava più ad un tea davanti ad un camino che ad una birra ed un hamburger lungo fiume, l'atmosfera era piacevole, molto rilassata, come sempre in UK, con molti londinesi, qualche turista, i ragazzi dei club di canottaggio (si riconoscevano per il pullover cremino a coste e la giacchetta blu, e per quella faccia pulita e serenamente aristocratica che spesso hanno i ventenni di questi college), tante sciarpine e palloncini blu per Oxford ed azzurri per Cambridge, telecamere della BBC, atleti delle scorse edizioni e le immancabili vendite di biscotti di autofinanziamento dei ragazzini.

Questa è stata la 158esima edizione: la prima si è svolta nel 1829 (e ricordando una delle poche date scolastiche - Congresso di Vienna 1815 - si capisce di che tempi si parla, Metternich e Talleyrand al Congresso, Mazzini e Garibaldi giovini e baldi ventenni). Per chi avesse già fatto mentalmente i conti, 1829 è un po' più di 158 anni fa: alcune edizioni sono saltate causa guerre mondiali e ricorrenza non annuale all'inizio.

Come forse ormai saprete la gara è stata piena di colpi di scena, con un uomo che, nuotando tra le imbarcazioni per protestare, according to him, contro l'elitarismo di Oxbridge (lui, ex studente alla London School of Economics, una delle più esclusive scuole di economia del mondo, vabbè) ha obbligato ad interrompere la gara; a gara ripartita c'è stato poi uno scontro tra i remi delle imbarcazioni, con rottura di quello di Oxford, ed infine un atleta di Oxford collassato per lo sforzo alla fine della gara (per di più con la sfortuna che essendo l'ultimo della fila non lo ha notato nessuno per diversi minuti).Ovviamente con 7 rematori contro 8, Oxford ha perso.

Siccome tutto questo è accaduto dietro la curva del percorso, nel frattempo io ero già altrove e l'ho scoperto solo la sera a casa.

Tuttavia, per quanto si dica che in televisione si veda meglio (ed è ovviamente vero), resta sempre un "si vede" non un "si vive" (non per niente un evento in diretta in inglese si dice "live") per cui non sono troppo rammaricato.

Mi porterò dietro tanti piccoli dettagli: il tono secco deciso ed autorevole di Zoe de Toledo, la timoniera di Oxford, mentre pronuncia un semplice "ready, go!", l'incredibile lunghezza degli affusolatissimi scafi, lo sguardo fiero e concentrato dei giovanissimi atleti - futuri dottori, criminologi, professori di inglese, psicologi, dopo tutto sono studenti - l'eleganza della remata in sincrono.

Insomma, un'esperienza che vale la pena.

Allora? Chi viene a Henley questa estate?

PS: Estratto della gara; Preparazione dell'Oxford team

PPS: Curiosita' toponomastica:
Ox-ford: Guado (ford) per i buoi (oxen)
Cam-bridge: ponte sul fiume Cam.

English and its neighbours
bridge: ponte m [I] Brücke f [D] pont m [F] puente m [E] pons, pontis [L]

Saturday 31 March 2012


(S)He loves me / loves me not

E' arrivata l'estate!!

Ed è già finita!!!!

Una settimana incredibile, quella appena passata: cielo blu, sole, una ventina di gradi; avessi potuto avrei preso ferie perché sarà anche vero come ci hanno insegnato degli amici tedescofili che "non c'è brutto o bel tempo ma solo un modo giusto o sbagliato di vestirsi" ma a me mica hanno convinto!

Oggi invece è tornato il grigiore e il freddo, pare rimanga così per un po'. Vabbé siamo in fase di transizione, dopo tutto la primavera è appena iniziata...

Nei giorni scorsi comunque ne abbiamo approfittato il più possibile ed anche il giretto post-prandiale si è spinto al di là di quelle psicologiche colonne d'Ercole rappresentate dai cancelli aziendali, lungo una strada punteggiata da tante - un po' anonime - casette, ciascuna con il suo curato giardinetto.

In uno di questi ho notato alcune margherite e mi è venuto in mente il vecchio giochino del m'ama non m'ama e mi sono chiesto se viene fatto ancora, o meglio se è possibile farlo ancora perché chi abita in città dove le trova le margherite?

Nel caso ne troviate, ecco alcuni fondamentali per una fruttuosa, benché vagamente guidata, sfogliatura:

- in inglese (s/he loves me / loves me not), italiano (m'ama / non m'ama), spagnolo (me ama / no me ama ) e tedesco (Sie liebt mich, sie liebt mich nicht) avete il 50% di probabilità di essere amati. Più precisamente, e considerando che di solito si parte ottimisticamente con "m'ama" avete 0% se la margherita ha un numero di foglie pari, 100% se dispari.

- in francese (Il/Elle m'aime...Un peu...Beaucoup...Passionnément...A la folie...Pas du tout...) si passa da un sistema binario si/no, l'amore c'è o non c'è - non ci sono vie di mezzo - ad un ventaglio di nuances affettive: le probabilità di un risultato almeno parzialmente positivo balzano all'80% e ve la passate male solo se il numero delle foglie è multiplo di cinque (sempre nell'ipotesi di partire dall'inizio della filastrocca).

Love deriva dal tedesco (ed in effetti love/liebe un'assonanza la hanno) che a sua volta riprende una radice indoeuropea di cui qualcosa è rimasto anche nel latino libet (piace/è gradito) e libido (passata in italiano senza cambiamenti).

Senza arrivare all'amore, se questo blogghino vi piace, da adesso potete essere aggiornati anche da facebook.

So...do you like me / like me not? :P

English and its neighbours
love (noun): amore m [I] Liebe f [D] amour m [F] amor m [E] amor, -ōris [L]
love (verb): amare [I] lieben [D] aimer [F] amar [E] amo, -as, amāvi, amātum, -are [L]

Wednesday 21 March 2012


Mothertongue

Usare una lingua non nativa cambia il modo in cui veniamo percepiti?

Mi feci questa domanda anni fa, dopo aver parlato in francese con una persona francese con cui ero solito parlare in inglese. Mi è sembrata immediatamente una comunicazione più "vera". E mi è sembrato di conoscere quella persona un poco di più.

Non so se abbiate avuto esperienze simili e che conclusioni ne abbiate tratto però la domanda mi è tornata in mente in questi giorni, mentre guardavo alcune interviste a Bérénice Bejo, l'attrice di The Artist, di origine argentina ma cresciuta in francia.

Nelle tre interviste racconta praticamente le stesse cose, ma con un'espressività molto diversa. Sicuramente in questo caso è anche una questione di contesto (soprattutto per l'inglese, con l'intervista fatta sul red carpet) ma nel video in spagnolo mi sembra di vedere una spontaneità che non ritrovo nelle altre.

Inglese Francese Spagnolo

Ragionando nell'ipotesi che non ci sia un eccessivo impedimento linguistico, mi viene da pensare che da un lato la facilità di comunicazione assicurata dalla lingua madre fa sì che tutto sia meno controllato e filtrato, e che quindi la conversazione risulti più spontanea ed in definitiva più vera; dall'altro, un effetto imitativo fa sì che parlare in una certa lingua ci induca a seguire, magari incosciamente, il particolare codice linguistico/comportamentale usato dalle persone che parlano quella lingua, in una sorta di processo "carbon copy" non solo delle parole ma anche degli atteggiamenti che li accompagnano.

In una società sempre più multiculturale dove, per definizione, le persone non condividono la stessa lingua madre, la domanda "quanto altera l'esperienza di conoscenza dell'altro usare una seconda lingua?" potrebbe essere meno oziosa di quello che sembra.

Che ne pensate?

English and its neighbours
mothertongue: madrelingua m [I] Muttersprache f [D] langue maternelle f [F] lengua materna f [E]

Saturday 10 March 2012


Beware of the frog?

Attenzione frane, attenzione raffiche, attenzione aerei treni e tram, attenzione mucche, attenzione cervi, attenzione passaggio a livello.

Di segnali stradali di pericolo ne ho incontrati parecchi ma "attenzione rane" non me lo sarei mai potuto immaginare!!



English and its neighbours
frog: rana f [I] Frosch m [D] grenouille f [F] rana f [E] rana, -ae [L]

Friday 2 March 2012


Jolly

La scorsa settimana, mentre facevo quattro chiacchere con un collega spagnolo tornando a piedi in ufficio dalla mensa, ci siamo messi a parlare di cosa facciamo nel tempo libero.

Quando ha accennato che il gruppetto degli spagnoli si è lanciato nella salsa, ho rispolverato il mio spagnolo maccheronico per sfotterlo un po' con un perentorio "la salsa es por los niños, el vero hombre bailas el tango!". E così, parlando di tango e delle sue usanze, è venuto fuori che milonga in spagnolo vuol dire "cosa di poco conto".

La traduzione mi ha incuriosito perché per me, come per tutti gli altri tango addicted, milonga, oltre che una musica, è l'evento sociale di tango e non è per niente una cosa di poco conto. Un altro collega spagnolo ha confermato il significato, aggiungendo che può voler anche dire "una gran balla".

Avevo quindi pensato di scrivere un post sulla parola milonga, cosa che in parte sto facendo :P

Però, proprio in quei giorni, dopo aver fatto ascoltare ad un'amica inglese un'allegra e orecchiabile milonghetta di cui mi sono innamorato al primo ascolto, lei l'ha definita jolly. E jolly ha vinto a tavolino su milonga.

Ha vinto perché è un aggettivo a cui non penso mai per definire qualcosa di allegro e se ci scrivo un post sopra magari me lo ricordo.

Jolly infatti per me è quello delle carte, che invece in inglese è Joker, mentre per me Joker è solo il cattivo di Batman - l'uomo pipistrello - che ha come spalla Robin - il pettirosso.

Ma questo domino linguistico ci porterebbe lontano, invece mi piacerebbe la ascoltaste anche voi questa jolly milonga: a me mette davvero di buon umore. L'unico effetto collaterale a cui posso pensare è che diveniate tango addicted pure voi!



English and its neighbours
jolly (happy/cheerful): gioioso [I] Fröhlich [D] joyeux [F] alegre [E] hilaris, -e felix, -īcis [L]
joker (playing card): jolly m [I] Joker m [D] joker m [F] comodín m [E]

Friday 24 February 2012


Accent

Quando ho iniziato questo blog possedevo da pochi mesi un nuovo computer, acquistato qua in UK e quindi con una tastiera senza lettere accentate.

Certo, ci sono combinazioni di tasti che risolvono il problema. Tipo alt+e+vocale per l'accento grave o alt+i+vocale per il circonflesso e via dicendo ma lo sforzo, per quanto minimo e piu' che altro psicologico, e' stato finora insormontabile.

Ed e' per questo che, ad esempio, e' e' e' e non è.

Forse anche per il fatto che in italiano di parole accentate non ce ne siano moltissime, la cosa e' stata benignamente (o con indifferenza) accettata. Ma la scorsa settimana, guardando moitie', ho pensato che proprio non si poteva vedere. E chissa' perche' mi ha fatto piu' effetto di vedere piu' o perche' o chissa'.

Quindi, anche se siamo quasi a Marzo, anno nuovo vita nuova: da oggi è è è e non e'!

PS: La parola accent che, come in italiano, ha sia la valenza di segno grafico che di differenza di pronuncia viene dal latino accentus (ad cantus). La parola accent non è accentata.


English and its neighbours
accent: accento m [I] Akzent m [D] accent m [F] acento m [E] accentŭs, accentūs m [L]

Tuesday 14 February 2012


Half

"Half?" mi chiede a conferma, stupita, la ragazza al di la' del bancone. Forse, confusa dal mio accento, pensa di non aver capito bene.

"Yes, half please" confermo io con studiata indifferenza, un automatismo raffinato in cinque anni di pratica.

Il volto della ragazza, gia' accigliato, si carica di una leggera smorfia, in parte attenuata dalla magnanimita' che, a qualsiasi latitudine, viene riservata agli stranieri; meccanicamente comincia a spillare half pint della birra locale.

Eh si, tanto vale lo sappiate cosi' vi regolate: ordinare mezza pinta di birra e' un po' da debolucci - a meno che non siate quello che deve guidare. Per l'autoctono infatti l'unita' standard e' una pinta (la misura standard svariate pinte...).

E si ordina chiedendo "a pint of ..."(Two pints of lager and a packet of crisps e' ad esempio il titolo di una sitcom della BBC) mentre per la mezza pinta basta dire "a half of ...". Sembra ovvio ma lo sottolineo perche' io all'inizio chiedevo "a half pint" venendo spesso frainteso, e mi ritrovavo a dover bere una pinta intera.

Un altro elemento di confusione e' che la pinta non e' la misura di default per tutte le bevande. Per una coca-cola la regola si rovescia: la misura standard e' la mezza pinta (servita con ghiaccio, in qualsiasi stagione) e se vuoi il bicchierone devi chiedere esplicitamente una pinta.

In effetti, perche' riempirsi inutilmente lo stomaco con bevande analcoliche se c'e' l'alternativa di un'ulteriore pinta di birra?? :)

English and its neighbours
half (adjective): mezzo [I] halb [D] demi [F] medio [E] dīmĭdĭus [L]
half (noun): la metà [I] der(die) Halbe [D] la moitié [F] la mitad [E] dīmĭdĭum,ii [L]

Tuesday 7 February 2012


Corkage

Dell'usanza bring your own bottle, BYOB , ovvero della possibilita' di portarsi da casa la bottiglia di vino quando si va a cena al ristorante, abbiamo gia' parlato piu' di due anni fa.

Usanza che allora imputavo alla crisi economica e che invece, a volte, e' piu' prosaicamente dovuta al fatto che alcuni esercizi commerciali non abbiano la licenza per vendere alcolici.

Il fenomeno e' parecchio diffuso e se all'inizio mi sembrava un po' strano adesso lo trovo simpatico, soprattutto molto pragmatico, senza imbarazzi: mi hanno regalato un'ottima bottiglia di vino per un'occasione particolare e la voglio condividere con degli amici a cena fuori? Perche' no?

Detto questo non ho ancora avuto il coraggio di sperimentarlo, fosse solo perche', per abitudine, non mi ricordo di passare in un'enoteca prima di andare al ristorante.

Qualche sabato fa, invece, nel menu di un ristorante ho letto questa scritta:

* BYO Wine - NOW EVERY DAY - £3.50 corkage per bottle *

Corkage per bottle? Sarebbe? L'amica belga con cui ero a cena mi spiega senza difficolta' il concetto del "droit de bouchon" ovvero che tu puoi, si, portarti la bottiglia da casa, ma una piccola gabella la devi pur sempre pagare.

Corkage viene da cork, come leakage da leak, luggage da lug, baggage da bag, package da pack, e l'assonanza con parole come espionnage, entourage, mi fa pensare che la terminazione sia un francesismo. Wiktionary dice che il suffisso -age deriva dal francese e si usa per i nomi collettivi, quindi potrebbe anche essere vero.

Guardando cosa accade nelle altre lingue e' interessante notare che in italiano e spagnolo la parola tappo richiama la funzione del tappare mentre in inglese e tedesco il materiale da cui e' costituito.

English and its neighbours
cork (bottle stopper): tappo (I) der Korken (D) le bouchon (F) el tapón (E)
cork (material): sughero (I) der Kork (D) le liège (F) el corcho (E) sūbĕr, suberis (L)

Friday 27 January 2012


Silence is golden

Avevo pensato di conservarmi Silence is golden per una settimana in cui non avessi avuto tempo di scrivere. Sarebbe stato un post facile, ed anche coerente. Titolo: "Silence is golden". Fine.

Pero' e' un'espressione interessante e mi piace spenderci sopra due parole.

Intanto il modo di dire e' di quelli che se uno si lancia in un traduzione letteraria (Silence is gold) quasi ci azzecca ma sbaglia. Insomma un subdolo, false "true friend".

Poi, silence is golden l'ho imparato dal titolo di una recensione su The Artist, film che e' finalmente arrivato anche in UK, e che sto spassionatamente consigliando a chiunque mi capiti sotto mano, per cui anche voi.

Non sapevo niente del film (ultimamente ho smesso di leggere i dettagli delle trame, preferisco la sorpresa) a parte che fosse in bianco e nero, muto, e che meritasse di essere visto. Ed e' stata davvero una sorpresa, uno dei film piu' piacevoli visti recentemente: divertente, originale, intelligente, ben recitato. E molto charming, come lo definiscono qui.

Infine silence is golden e' un'espressione interessante anche per un altro motivo, a cui ho pensato solo quando ho iniziato a scrivere il post: con silence che viene dal latino silentium e golden che deriva dal tedesco gold (a sua volta da una radice indo-europea: ghel-giallo) rappresenta una bella sintesi delle diverse radici della lingua inglese.

Insomma io ed un tedesco (senza conoscenza alcuna dell'inglese, caso di scuola si potrebbe dire) di fronte a silence is golden capiamo senza sforzo meta' (diverse) della frase. Bello no?

PS: per motivi personali e professionali, le persone che mi ritrovo a frequentare sono principalmente di lingua inglese, francese, spagnola, tedesca (ovviamente una volta esclusi gli italiani). Per imparare qualche parola in piu' di queste lingue (o per rinfrescarle), e per evidenziare meglio come si relazionano, terminero' i post traducendo una o piu' parole del titolo in queste quattro lingue, aggiungendo il latino per un po' di sano orgoglio. Confido che, se mi sbaglio, mi corriggerete!

English and its neighbours
silence: silenzio (I) die Stille (D) le silence (F) el silencio (E) silentium (L)
gold: oro (I) das Gold (D) l'or (F) el oro (E) aurum (L)

Friday 20 January 2012


Sorry for the inconvenience/2


Mario, a noi ce lo puoi dire... che ti hanno combinato? :P

Domain Name     palazzochigi.it ? (Italy)
IP Address           xxx.yy.z.# (Presidenza del consiglio dei Ministri)
ISP Presidenza del consiglio dei Ministri

Location
Continent :       Europe
Country :          Italy (Facts)
State/Region :   Lazio
City :                Rome
Lat/Long : 41.9, 12.4833 (Map)

Time of Visit Jan 16 2012 2:23:51 pm

Search Engine    google.it
Search Words     sorry for the inconvenience
Visit Entry Page http://sayagainplease.blogspot.com/2009/10/sorry-for-inconvenience.html

Thursday 12 January 2012


Interesting!

Oggi pomeriggio, la grigia giornata lavorativa e' stata rallegrata da un'email circolata tra noi expats.

Una tabellina che riportava alcune espressioni inglesi, il loro significato per gli autoctoni e quello per il resto del mondo.

Una tabellina che andrebbe stampata sul retro del biglietto per l'Inghilterra, cosi' uno arriva preparato.

Perche' tra eccessiva politeness, sottile sarcasmo, gusto per l'understatement e sfumature legate all'intonazione, all'inizio si prendono notevoli cantonate.

Non si contano gli "I would suggest to look at this first" che all'inizio ho preso per semplici suggerimenti e non indicazioni di priorita', gli "I think" con cui gli esperti rispondevano alle mie domande e che io consideravo come opinioni da verificare invece che risposte sicure, i "brilliant" e gli "wonderful" che erano solo degli ok o anche meno, gli "we must go one day" che non sono andati da nessuna parte.

...una lingua decisamente interesting, isn't?

Friday 6 January 2012


Speakers' corner

Appunti dal viaggio di ritorno. Italy -> UK

Lo speakers' corner e'quella zona di Hyde Park, a Londra, riservata a chi vuole fare un discorso in pubblico; si va li', magari si sale su una scaletta o uno sgabello per farsi vedere meglio, e si inizia a parlare, presentare una proposta o semplicemente sfogarsi.

Visto che sono lontano da Londra approfitto di questo angolo di rete per un mio piccolo sfogo (poi basta, riprendiamo a parlare di Inghilterra, I promise).

In viaggio di rientro, alla stazione di Firenze - la quarta in Italia per flusso di passeggeri ricorda wikipedia - ho scoperto che non esiste piu' la sala d'attesa. O meglio, la sala c'e', ma solo per alcuni - neppure tutti - i viaggiatori Frecciarossa (solo quelli con speciali carte fedelta').

Ho chiesto ad un ferroviere dell'assistenza clienti se ci fosse un'altra sala e mi e' stato indicato l'atrio della biglietteria.

Tralasciando, per evitare pignolerie linguistiche, che in questo caso sarebbe un atrio d'attesa non una sala d'attesa (chi parla male pensa male, citando Moretti, il regista, non l'Amministratore Delegato) e tralasciando che l'atrio di questa struttura e' alto circa 15 metri (ergo irriscaldabile), io capisco che Frecciarossa per conquistare pubblico di fascia alta deve offrire salette esclusive e privacy, ma perche' a spese degli altri passeggeri? L'esclusiva sala d'attesa infatti e' un refurbishment di quella vecchia, che era aperta a chiunque avesse un biglietto.

Forse non ci saranno altri spazi, penserete voi. In realta' una seconda sala d'attesa c'e'. Anzi c'era. Adesso ospita un negozio di vestiti.

Ed allora forse ci sono solo altre scelte di business, riguardo alle quali il cliente, soprattutto in regime di monopolio, non puo' fare niente (se non nel mio caso andare a godersi cinque minuti i marmi del Duomo di Firenze).

Morale: Anche dalle piccole cose si capisce che in Italia un po' di concorrenza in piu' non farebbe male.

PS: a parte questi appunti, vagamente piccati, per il resto tutto bene, ottime vacanze. Dopo tutto...there is no place like home :)


There is no second chance to make a first impression

Appunti dal viaggio di andata. UK -> Italy

There is no second chance to make a first impression: non c'e' una seconda opportunita' per fare una prima impressione.

Ed allora perche' all'aeroporto di Fiumicino, per indicare un dislivello nel pavimento, invece di un semplice e scorrevole "uneven floor" e'stato preferito "unevenness floor"? Bisognava per forza tradurre i sostantivi con i sostantivi?

Perche' il biglietto del treno-navetta che collega l'aeroporto con la stazione (chiamato tra l'altro Leonardo Express, mica Fiumicino Express, tanto per facilitare la vita al turista) per spiegare che puo' essere indistintamente usato in direzione aeroporto o stazione, non trova niente di meglio di un "o viceversa" tra l'altro dimenticando pure la r di or?

Ok, io sono pignolo, non sono queste le cose importanti in un aeroporto, ma qualcuno quelle approssimative traduzioni le avra' pure controllate ed avallate. Perche' questa gratuita sciatteria?