All'inizio di ogni anno, l'azienda per cui lavoro organizza un evento per celebrare i risultati dell'anno precedente e presentare gli obiettivi di quello appena iniziato. Da un paio di edizioni, a questo evento viene invitato a parlare anche uno speaker motivazionale che spesso racconta quelle che sembrano un sacco di ovvietà, ma di quelle che di tanto in tanto fa bene rinfrescare.
Per esempio quest'anno ci hanno suggerito di "controllare le variabili controllabili" perché tanto su quelle incrontrollabili non ci possiamo fare niente, di "investire sui nostri punti di forza" consiglio vagamente in controtendenza con l'approccio più diffuso di colmare i punti deboli, ed infine di "don't say don't" perché se ci dicono di non fare o pensare a qualcosa probabilmente non faremo che (o penseremo che) a quella.
"Please don't touch" è la scritta che si trova in molti musei, per ricordarci che quella statua, dipinto o installazione non va sfiorata, che bisogna resistere alla tentazione di sentire quanto sia freddo quel marmo modellato da Michelangelo o di capire se i semi di girasole dell'istallazione di Ai Weiwei alla Tate sono incollati tra loro o stanno su per gravità.
Qualche settimana fa sono andato alla scoperta della parte est dell'Inghilterra, dedicando un giorno alla visita di Brighton e del suo Pavillion. Per chi non lo conoscesse (come me prima di venire in UK) è un palazzo in stile orientale - indiano l'esterno, cinese l'arredo interno - che l'estravagante ed edonista Re Giorgio IV, sul trono 200 anni or sono, abitò fin da giovane come casa di feste, ristrutturando quella che prima era una farmhouse.
Gli interni del palazzo sono fastosi e ricercati, e le pareti ricoperte di tessuto; immergono il visitatore in quella che sarebbe potuta essere in Occidente l'idea della Cina nell'ottocento (quando in ben pochi ci erano stati o avevano la possibilità di andarci davvero).
In una stanza secondaria, che porta all'immancabile coffe shop, i gestori del palazzo-museo hanno attaccato al muro dei quadretti di tessuto da parati con scritto sopra "please touch". Sono un po' sporchini e lisi. Lì per lì non si capisce il motivo, poi si nota che accanto ad ognuno di essi c'è un quadretto di tessuto gemello, ma riparato da un vetro, ed il confronto fa capire quanto anche un distratto sfioramento da parte del turista curioso, sommato a quello di tutti gli altri che hanno avuto lo stesso impulso, possa consumare una superficie.
Semplice ed immediato, no?
PS: To touch deriva dal francese toucher e quindi segue lo stesso ramo mediterraneo di toccare/tocar/tangere (tangere, che alla prima persona fa tango, un ballo dove in effetti c'è contatto, ma chissà se c'è qualche nesso). Il tedesco con berühren prende un'altra, misteriosa, strada.
English and its neighbours
to touch: toccare [I] berühren [D] toucher [F] tocar [E] tango, -is, tetīgi, tactum, -ĕre [L]
la scelta di sneddu
2 days ago