Monday, 18 June 2012


Interview #1: The Shrink and the Sage

Procrastinare può essere una cosa positiva? Come riparare un cuore spezzato? Cosa dovremmo aspettarci dagli altri? Queste sono alcune delle domande che vengono affrontate da The Shrink and the Sage, una rubrica di FT Magazine, il domenicale del Financial Times.

L'idea è quella di discutere l'argomento dal differente punto di vista di una terapeuta (the Shrink alias Antonia Macaro) e di un filosofo (the Sage alias Julian Baggini).

Ne avevo già parlato qualche mese fa nel post shrink perché la rubrica mi era piaciuta molto, sia per i contenuti, stimolanti ed intelligenti, sia per la forma del dialogo, che mi ricorda molti dei testi classici di filosofia o di scienza.

The Shrink and the Sage adesso è diventato un libro che riprende ed espande le tematiche trattate sul giornale.

Ho avuto l'occasione di incontrare gli autori alla presentazione del libro. Quello che segue è un estratto del talk e dell'intervista che mi hanno gentilmente concesso.

La presentazione del libro è iniziata con una discussione su cosa sia la filosofia e quale sia il lavoro del filosofo rispetto al compito dell'attività terapeutica; perché se è vero che entrambe le discipline hanno un retroterra comune e si muovono in un campo comune, è altrettanto vero che c'è un'ovvia differenza di finalità: la ricerca della verità nel caso della filosofia, il far stare meglio il paziente nel caso della terapia.

Il rapporto tra le due discipline è comunque talmente stretto che esiste anche una professione "ponte": quella del philosophical counsellor. Una disciplina interessante purché non si ricorra ai filosofi come ad un cestino di frasi da cui pescare quella che ci fa più comodo per l'occasione ma si consideri criticamente quello che hanno detto; un punto di partenza più che di arrivo insomma.

Approccio che è stato suggerito anche per il libro, da intendere non come un manuale che dà facili ricette o formule risolutive ma come un'opporunità di riflessione, di lavoro e auto-lavoro.

Tra le diverse filosofie, quella aristotelica è guardata con particolare attenzione e le è dedicato l'inizio del libro. Ma io ho trovato interessante anche il richiamo alla filosofia stoica ed al suo sano distacco dalle cose materiali, e soprattutto al fatto che non vada considerata come la migliore soluzione per affrontare i rapporti umani perché la distanza sfocia nel cinismo, a riprova che una lettura critica della filosofia è sempre necessaria.

Ed è proprio pensando ad altre filosofie, religiose questa volta, che ho preso spunto per la mia chiaccherata con gli autori:

While reading the book, I spotted the word Buddha appearing on the first page of the Introduction and word mantra in the title of the Conclusion chapter. Moreover one of Julian's TED talk, Is There A Real You?, ends quoting a sentence from Buddha; so I was wondering what you think about Buddhism. Is it, quoting Einstein, "a philosophy that copes with moderns scientific needs better than others"?

Julian: This is interesting, I haven't realised it. Both of us we have found interesting things in Buddhism over the years, without being Buddhist. From my point of view it's clear that Buddhism has a very sophisticated system of thought, particularly for its time; don't overstate this, it's also mixed up with a lot of completely outdated superstitions but mixed with all of that there is very advance thinking and it is true that if you strip away the more superstitious elements, that just reflect the culture it came out of, you are left with a lot of way of thinking which are more amenable to contemporary ways of thinking. I think the problem is that people often want to imagine that Buddhism is completely compatible with everything we know now about science, and that science has vindicated Buddhism. I think that this is too strong.

Antonia:I think Buddhism is really interesting, I have a longstanding interest in Buddhism even though there are a lot of areas of it that I just can't accept. "Life is suffering" is a really good starting point in life. Recently I've realised that if you boil it down to really fundamental components, mindfulness and compassion are the most important things in life. Having said that, you have to get rid of all the metaphysical bits I don't accept and I think don't fit particularly well with what we know about the world.

Perché non possiamo non dirci cristiani" is the title of a famous essay from Italian philosopher Benedetto Croce. For obvious historic and geographic reasons, Christian culture is wide spread in Italy and quite rooted in the people behaviours. Even though Croce was not strictly thinking to Italians but to the impact that Christianism had on Western culture, if you should say what British cannot avoided to be called, what would you think at? What has influenced them mostly?

Julian: I think you could say we can't avoid calling ourselves Protestants. There is something about the protestant outlook which is very deep-rooted in the British way of thinking. It's the idea that there is a certain, almost puritanical, keypoint. It's seems odd because you think of British people drinking too much, eating too much, but it's tied to the puritanical thing: it's the excess or nothing kind of thing. You drink to get drunk or you eat to fill yourself up; just taking pleasure in the way that the Catholic countries do food and drink seems to be an anathema. The British have trouble doing that, you go mad or you avoid it. It's feast or famine, it's binge or purge, it's one of those two things. So there is that, but there is also the specific Anglican thing: that actually we don't think too much about religion but we are kind of glad it's there. A lot of opinion polls and surveys show that it continues to be the case that most people consider themselves to have some kind of spiritual aspect, only a minority embrace a full blown atheism but even a smaller minority are actively religious.

To me the British are pragmatic, maybe I'm too much influenced by the working reality but to me it look like they have a very pragmatic approach to life

Julian: Pragmatic is a good way to put it but it's also the Protestant thing, it's not just pragmatic it's actually functional as well; things like food and drink become functional: alcohol is a tool to get drunk with and food is a tool to feel full with or to get through the day with; we are not actually very good at just enjoying thing for their own sake.

Dalle risposte e dal talk mi sento di dire che la migliore pubblicità per questo libro sono gli autori stessi. Porsi domande, quelle giuste, darsi risposte vere, fare un lavoro continuo su se stessi, leggere criticamente i classici della cultura umana, sia occidentali che orientali, è l'unico modo per affrontare, se non serenamente, almeno con lucidità, le intemperie della vita.

Riferimenti bibliografici per chi si fosse incuriosito:

- The Shrink and the Sage
- microphilosophy, big thoughts can come in small packages il sito di Julian Baggini
- Le pubblicazioni di Antonia Macaro
- Le pubblicazioni di Julian Baggini

Friday, 8 June 2012


Art

Lo squalo è lungo, più lungo di me e con le fauci completamente aperte.

Mi avvicino, lo guardo con attenzione, lo esamino quasi. La pelle grigiognola, l'interno della bocca bianchissimo. Dovrebbe incutere timore ma gli occhi spenti e la pelle raggrinzita comunicano un'aria stanca, un po' sonnacchiosa: più che aggressivo mi sembra uno squalo che sbadiglia. Anzi nemmeno quello, perché anche un pigro sbadiglio ha pur sempre una sua lenta dinamica, mentre questo squalo è immobile, bloccato in una sorta di fermoimmagine tridimensionale, prigioniero in un acquario di formaldeide che è la sua trasparente bara di vetro.

Attorno, le pareti della stanza sono tappezzate da sottili vetrine multipiano, contenti pillole medicinali accuratamente allineate in singola fila su ogni ripiano. Tanto asettiche, neutre ed anonime quanto una malattia puo' essere invece infettiva, dolorosa, personale.

E poi ci sono i pesci morti, anch'essi annegati (ammesso che lo si possa dire per un pesce) in una soluzione di formaldeide. Ognuno nel suo parallelepipedo trasparente, tutti allineati a destra in un'installazione e, immagino, per amor di simmetria (e di facile fatturato), a sinistra in un'altra gemella.

E poi un portacenere bianco, di forma semplicissima, classica: rotondo, con tre buchette disposte a 120 gradi dove far riposare la sigaretta tra una tirata e l'altra. Un portacenere gigante però, di più di due metri di diametro, pieno di vere cicche - che fanno il loro dovere emanando vera puzza di cicche - e pacchetti vuoti ed accartocciati, ormai inutili, morti pure loro.

E poi la testa mozzata di una mucca con delle mosche che le volano attorno. E sara' anche il ciclo della vita ma è davvero disturbante, e lo sarebbe pure la visione, che lascio agli altri, delle interiora di una mucca tagliata a metà, per lungo, ed esibita in due bacheche tra cui gli inglesi, con innata dedizione alla coda, sfilano pazientemente.

Il tutto inframezzato, forse per riprendere il fiato, da tante tele bianche piene di pallini colorati, anche questi però ripetuti ossessivamente, o quanto meno serialmente: tutti dello stesso diametro, perfettamente tondi e disposti in reticolo, equidistanziati di una lunghezza pari ad un diametro in entrambe le direzioni.

Ed infine, in un'altra sala, completamente buia, "For the love of God" il famoso teschio (di platino) interamente ricoperto da un reticolo ordinato di diamanti. Un'opera dove il sentimento della morte, usualmente indotto dalla visione di un teschio, viene annichilito da una miriade di luci colorate, purissime e vivaci, in cui i diamanti si accendono e si spengono sotto il fascio di luce che illumina il teschio. Un oggettino da undici milioni di sterline di costo di produzione; il valore di mercato è molto fluttuante, quello artistico giudicatelo voi.

Le opere di Damien Hirst, talentuoso e furbo artista concettuale inglese che si confronta con gli universali temi della vita e della morte, sono in esposizione alla Tate Modern di Londra fino al 9 Settembre; "For the love of God", gratuitamente, fino al 24 Giugno.



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Sunday, 3 June 2012


Union Flag

Union Flag su tazze, piattini e bicchieri. Union Flag su confezioni di carte da gioco, su stereo, su cappellini, ombrellini, foulards e magliette. Su portachiavi, portafogli e borse. Sulle scatole di caramelle e di biscotti.

Siamo arrivati all'atteso Queen's Diamond Jubilee (weekend) che celebra i 60 anni di regno di Elisabetta II, per cui la bandiera del Regno Unito tappezza oggetti, strade, case e negozi.

E' ovunque e su tutto.

Ma anche su questo era proprio necessario? Ma la Elisabeth lo sa?

PS: Il Regno Unito, già che ci siamo ricordiamolo, include ma non è solo l'Inghilterra:

United Kindom (UK) = Great Britain + Northern Ireland
Great Britain (GB)= England + Scotland + Wales

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